Critica

Francesca Magro, "Suolo fecondo", 2009.

Anatomia di una formica o di un filo d'erba

di Alberto Veca

Strumenti del vedere,
mai ingenui, legati all'apparenza immediata dell'accadere, ma attenti a cogliere relazioni e analogie, soprattutto se aiutati da “protesi” che, in modo antitetico, potenziano l'occhio umano. Ciò che esiste è indipendente dalla nostra conoscenza, come l'immaginazione può essere o rendersi indipendente dall'esperienza sensibile. Nell'“anatomia di una formica o di un filo d'erba” Tommaso Campanella, nel carcere dell'Inquisizione, poteva leggere la complessità dell'universo: nel nostro caso il punto di stazione è più rassicurante, analoga invece la curiosità a investigare.
Le motivazioni che sono alle spalle dell'operare plastico di Francesca Magro, anche i suoi “referenti” perché una espressione plastica è sempre e comunque, anche se a diversi filtri, mimetica della realtà, quella vista a occhio nudo o con gli strumenti che in modo antietico potenziano la sua abilità, dal telescopio al microscopio, sono complesse.
Sono implicazioni essenziali nel fare, ne possono anche determinare il senso ma non sono necessarie per una lettura formale del lavoro, per certi versi “ingenua” ma è la chiave cui faccio riferimento perché penso che un'opera plastica parli principalmente con la modalità specifica del proprio linguaggio. Le implicazioni simboliche sono all'interno stesso del fare immagine, quindi non necessarie per un approccio all'oggetto.
Ma a ben vedere anche l'immaginario proposto dagli strumenti di indagine prima indicati diventano, nella divulgazione della stampa o elettronica, familiari all'immaginario quotidiano, quindi entrano in competizione, acquisiscono e provocano assonanze con il precedente immaginario. Quindi nell'ambito del discorso possiamo accogliere una omogeneità di immagini mutuate dalle fonti più eterogenee, un fenomeno che non solo “aggiunge” un nuovo lessico ma rimette in discussione anche quello acquisito, ereditato dalla tradizione.
E curiosamente lo stesso ragionamento deve essere esteso anche agli strumenti, ai materiali del comunicare, mescolando la capacità illusionistica della pittura all'accostamento con oggetti direttamente posizionati nel campo, a gara con la parte dipinta.
Un desiderio di incontro fra soggetti morfologicamente diversi, nell'ambito delle arti plastiche, una disciplina in cui mi riconosco relativamente competente, fra figura e materia: non siamo nell'ordine dell'illusione ma in quella del “presentare” soggetti diversamente assemblati. O meglio vi è una parte, una porzione dell'opera, affidata alla rappresentazione e una parte invece in cui la figura, o l'ingombro perché si deve parlare di tridimensionalità, è diretta: giocare fra illusione della pittura e presenza fisica di un oggetto è esercizio che appartiene alla storia dell'arte, e non solo del Novecento; la scelta di Magro è consapevole di tale retaggio ma le conclusioni mi sembrano utili al discorso espressivo specifico e non una memoria di un passato anche recente.
Si può segnalare un percorso dalla produzione di ieri dell'artista – un intervallo limitato di tempo a testimoniare la fertilità dell'indagine - in cui molto è attribuito alla messa in scena in cui avviene un incontro, alla focalizzazione dello stesso come episodio privilegiato, la raggiunta sintesi intorno a un evento, alla messa a fuoco di un singolo episodio.
Ecco il senso della soluzione “tabellare”, di catalogo riassuntivo dal carattere anche narrativo, di successione cronologica, che Magro ha scelto per questa occasione, almeno per l'opera di più impegnativo ingombro: vi è, in altri termini, una volontà impaginativa del singolo pezzo che si configura come tessera, come episodio, di un ragionamento più ampio. La parete è allora attrezzata per accogliere da una parte i singoli episodi, le singole stazioni, dall'altra la visione d'assieme, che permette all'occhio di cogliere ricorrenze e novità, eccentricità percorrendo le caselle della scacchiera, cogliendo analogie e differenze, entrando quindi nelle pieghe del linguaggio superando l'impressione immediata per una più analitica indagine sulle ricorrenze e sulle novità fra episodio e episodio.
L'avventura si basa allora sull'indagare lo spettro del visibile, con gli interrogativi che la categoria comporta, una volta si superi quanto immediatamente percepito, lo si metta in gioco con la memoria, con l'archivio di immagini e figure che ci accompagnano quotidianamente, quando le riconosciamo vicine o lontane rispetto al nostro vissuto.
Uno sguardo “all'interno”, senza una scenografia stabile, un palcoscenico in cui viene a distinguere la distanza con la platea, il punto di stazione da cui osservare l'avvenimento: un universo “provvisorio”, parallelo a quello che percepiamo, ricondotto comunque alle sue logiche costruttive perché si legge dalla figura indefinita a quella distinguibile , si , coglie il metamorfico passaggio fra il fondo e la figura in alcuni esiti, perché all'opposto vi può essere il conflitto fra un campo dipinto e un oggetto che diventa un elemento in dialogo con la superficie.

Milano, marzo 2009