Critica

Francesca Magro, "Composizione musicale", 1998, particolare.

Tra Pensiero ed Esperienza Pittorica,
Lo Stupore dell'Infinito Divenire

di Fabrizia Buzio Negri

Una ricerca intorno a possibili percorsi, a orientamenti dettati dalla mente, dalla memoria, dalla fantasia. Francesca Magro sembra voler tagliare la realtà trasversalmente, spostando i limiti della conoscenza oltre una linea immaginaria sua personale. L'artista sente il bisogno di proiettare la propria identità pittorica in un mondo che dal visibile disegna l'invisibile, in una sorta di paesaggio interno ed esterno che ci compenetra. Viviamo di continuo mutazioni sconvolgenti delle attività umane, con risultati di proiezioni irreali, ambigue, consapevoli di non poter trovare le coordinate in cui inserire un nuovo sapere, al fine di definire rinnovati rapporti con le cose della quotidianità e nella dimensione universale dell'esistere.

Francesca Magro insegue luoghi e tempi in una interiore tensione di conoscenza che non si affida alla storia, bensì intende recuperare tutte le energie del pensiero, in una molteplicità di rispondenze lontane dal punto di equilibrio. "Noi cerchiamo sempre l'assoluto, e troviamo sempre ovunque cose", ha scritto Novalis. E' lo scarto paradossale tra gli estremi, tra visibile e invisibile, fra finito e infinito. Quando ha attuato, tra il 1989 e il 1993, alcuni cicli pittorici dedicati a momenti letterari fortemente impressivi (La Metamorfosi di Kafka, Ulisse di Joyce in confronto all'eroe omerico, La montagna incantata di Thomas Mann) la Magro ha inteso sperimentare non soltanto sotto un profilo estetico: ha ritenuto necessario passare a posizioni spiazzanti in percorrenze di pensiero sotterranee, catturate da punti inusuali di visione come, ad esempio, quella poetico-letteraria.
Sono itinerari che chiamano incantesimi, magie, profezie, miti, nello smarrimento di referenze derivate da accadimenti reali, come se tutto prendesse origine da un luogo di misteriose mutazioni. Non, quindi, perimetrare una situazione di ricerca, ma articolare tempo e cose, intersecando territori tutti da esplorare, aperti all'emozione della parola letteraria insieme alle combinazioni di conoscenze non condizionate dal binomio spazio-temporale.
Molta della grande letteratura del nostro secolo vive in una continua fuga verso gli abissi spalancati tra l'Io e l'Esistere su terreni dove è impossibile attestarsi. L'imperativo della contemporaneità è la perdita delle certezze, è il divenire oscuro dell'energia primaria, vitale, liberata dalla razionalità. Così i personaggi de La montagna incantata, vagamente antropomorfizzati in un continuum di variazioni astratte, stanno sulla tela, come in una rappresentazione teatrale che solo un meccanismo misterioso può animare. Sulla scena, le forme statiche sembrano volersi dissolvere per ricostruirsi altrove, in un incessante scorrere di linee in orizzonti possibili.
E La Metamorfosi kafkiana orienta ossessivamente l'impossibilità di accogliere la vita, in una discesa lucida e terribile verso il nulla: nelle opere della Magro, la riorganizzazione continuata delle forme affiora in una soggettività cromatica e strutturale che fonde gerarchie e identità, senza campo.
Le quinte teatrali delle opere precedenti segnano, dal 1994, il passaggio è a deviazioni quasi esclusivamente geometrizzanti, in un balenare di coloriture primarie molto spinte.
La visione si esalta muovendosi verso un'astrazione cosmica, in una istantaneità che penetra nelle metamorfosi del presente, trasfigurate da ciò che è stato e mutante verso l'infinito. L'idea dell'esistere al di là del contingente rivendica tutti i possibili processi che dal caos, dal magma primigenio volgono alla determinazione formale. L'artista sembra volersi impadronire del nucleo pulsante della vita in quella sua forma ovale, matrice e antagonista di tutto.
L'opera pittorica più recente declina metafore di sintesi formali su angolature strettissime e scorciate; la sintassi compositiva è percorsa da tensioni creative in una propria cosmogonia fermentante attorno alla sfera, che pare controllare movimenti e intrecci fuori dal fenomeno fisico della visibilità.
Si percepisce, nella saturazione cromatica che alterna sapientemente colori primari al tonalismo del fondo, un'organizzazione di cromie a dare l'impressione di un ordine nascente, sfuggente nelle vibrazioni della luce, come un pensiero filosofico che mai esaurisce l'interrogazione perenne del vivere.
Condensazioni, spostamenti, traslazioni, dall'informale di proliferazioni embrionali all'astrazione di frammentazioni geometriche. Nello stupore dell'infinito divenire.
Visionarietà dinamica di quell'universo onirico che rileva l'ambiguità dell'esistere in atmosfere fluide, cangianti, di un inverificabile macro o microcosmo. La domanda si intreccia ad altre domande.
Nel colorismo propriamente riconoscibile dell'artista, senza zone d'ombra.

Castellanza, aprile 1998